Addio Madiba. Nelson Mandela è morto il 5 dicembre 2013

La Biblioteca Amilcar Cabral rende omaggio all'eroe della lotta contro l'apartheid, uno dei più grandi statisti del XX secolo.

Nelson Mandela, 1918-2013

Nelson Mandela viene ricordato come l’eroe della lotta contro l’apartheid. Il leader di cui per ben 27 anni non si conoscerà il volto, il più celebre e influente prigioniero in lotta per la libertà, la giustizia e i diritti umani della seconda metà del XX secolo. Dagli anni ’70 fino alla sua liberazione, nel febbraio 1990, la Campagna per la liberazione di Mandela diventò un vero e proprio movimento di massa globale di protesta contro l’ingiustizia che il regime di supremazia e discriminazione razziale e razzista della componente di origine europea della popolazione, che va sotto il nome di apartheid, perpetrava contro la maggioranza nera e di origine mista o asiatica della popolazione.

La protesta contribuì a mettere in crisi le politiche della maggior parte dei paesi occidentali che quel regime criticavano solo ipocritamente, quando non lo difendevano apertamente agitando lo spauracchio della guerra razziale.

Mandela e gli altri prigionieri politici uscirono dal carcere solo nel 1990 e non per concessione benevola del regime di apartheid, ma avendo negoziato, prima segretamente poi apertamente, i termini e i tempi della transizione alla democrazia, la cui premessa era il riconoscimento dell’uguale dignità e diritti di tutti i cittadini senza discriminazioni di razza, etnia, colore, appartenenza politica, religione, sesso.

La liberazione di Mandela avvenne nel momento in cui i “venti del cambiamento” - leggasi la fine della guerra fredda - aprivano a un cambiamento radicale del sistema internazionale e per il Sud Africa una nuova era che culminò con le elezioni libere a suffragio universale (1994); rese possibile il processo di riconciliazione per mezzo dell’istituzione della Truth and Reconciliation Commission, parte integrante della nuova Costituzione, fra le più moderne e garantiste del mondo. Un processo che non fu sempre cosi pacifico come si tende a credere oggi e che comunque viene ritualmente assegnato alla categoria del “miracolo”. Miracolo attribuito dai media esclusivamente a Mandela elevato da allora a una specie di santità laica. Mandela invece in tutte le sue interviste e discorsi pubblici non ha mai mancato di mostrarsi infastidito e di sottolineare che lungi dall’essere un santo era sempre stato un politico che si era formato, decideva e agiva, grazie all’insegnamento, collaborazione e coesione ideale e tattica di un movimento radicato nella presa di coscienza dell’ingiustizia e nelle lotte per l’emancipazione sociale e politica di tutta una popolazione. Il “miracolo” era, insisteva Mandela, il frutto di decenni di lotte, di negoziati e compromessi, della capacità di tessere alleanze con gruppi interni, con leader e forze sociali e politiche del sud e del nord del mondo, e sempre ricordava con immensa gratitudine i suoi maestri e amici e fra questi soprattutto i compagni di prigionia da cui sosteneva di avere imparato tutto.

Non era nato leader, lo è diventato e i nomi con cui è conosciuto illustrano il percorso e le qualità della sua leadership: Madiba l’eroe, il capo Thembu da cui discendeva, che si oppose all’invasione inglese delle sue terre ancestrali, Rolihlahla il ribelle, Dalibhunga, promotore di dialogo e Tata, padre della patria. Sarà il carcere a essere la scuola di perfezionamento delle sue capacità di leadership.

Walter Sisulu, uno dei principali leader dell’ANC, da Mandela considerato primo fra i mentori politici, un “fratello” più anziano e autorevole, ricordava che quando furono imprigionati a Robben Island non esisteva ancora una definita gerarchia di comando e fu il movimento (African National Congress, ANC) a decidere che il leader dovesse essere Nelson Mandela. Perché Mandela non solo conosceva meglio la situazione interna della lotta di liberazione, ma aveva sviluppato una vasta rete di contatti e solidarietà africana e internazionale, e soprattutto perché aveva una personalità aperta, leale e coraggiosa. E coraggio dimostrò in prigionia, organizzando proteste non violente per ottenere migliori condizioni per i prigionieri e successivamente prendendo su di sé la responsabilità di iniziare a negoziare segretamente col regime di apartheid.

Definito giustamente “il più pragmatico degli idealisti” Mandela aveva già in carcere intuito lo spirito dei tempi. Quando ne uscì capì subito quanto il Sud Africa, l’Africa, il mondo fossero cambiati radicalmente. Nella seconda metà degli anni ’80 il regime di apartheid era sempre più attaccato e in crisi, coinvolto in guerre regionali e indebolito dalla sempre più estesa protesta interna e regionale, mentre l’Unione Sovietica stava collassando e cadeva il muro di Berlino. Anche i più duri e puri dell’ANC sapevano di non poter vincere la lotta militarmente, e che la liberazione avrebbe dovuto fare i conti con un nuovo ordine economico e politico internazionale che non lasciava spazio alla radicalità di utopie rivoluzionarie.

Liberato Mandela e gli altri prigionieri politici, la strada per affermare gli ideali di libertà e giustizia e per difendere i valori e i principi che ispiravano la conquista della sovranità nazionale del “paese arcobaleno” (e che risalivano al documento sottoscritto nel 1955 che va sotto il nome di Freedom Charter), passava inevitabilmente dal riconoscere, e dunque sapersi destreggiare tatticamente nel contesto del nuovo ordine internazionale che non consentiva più di realizzare una rivoluzione di stampo socialista.

La voce di Mandela eletto primo Presidente del nuovo Sud Africa si fece garante del rispetto dei diritti umani e dell’autonomia decisionale del governo democraticamente eletto, chiamato a confrontarsi ad ogni passo con la realtà di un paese economicamente da ricostruire e drammaticamente diviso. Furono necessari compromessi per evitare rotture, tenere insieme il paese, incentivare investimenti stranieri assolutamente indispensabili a ristrutturare l’economia mineraria, industriale e agricola, e nello stesso tempo realizzare una forma di stato sociale, ovvero operare gradualmente verso una redistribuzione delle risorse per mezzo di tutta una serie di riforme. Questo partendo da una situazione di immenso divario e ingiustizia nell’accesso alle minime risorse di cittadinanza sociale e economica.

Con la scomparsa di Mandela il Sud Africa non precipiterà nel caos di un conflitto razziale o politico, come paventano molti commentatori che continuano a pensare che la liberazione del Sud Africa sia stata opera di un crociato solitario e non invece una lotta lunga difficile che ha visto lo svilupparsi e crescere non solo in Sud Africa di un vasto movimento di presa di coscienza delle ingiustizie subite e della dignità della lotta per vincerle e superarle. Questi commentatori, che la figlia di Mandela ha bollato di razzismo, non vogliono vedere che il Sud Africa, nonostante le tensioni e il tanto che resta da fare, è dotato di una costituzione democratica, testimonia una vivace vita politica, ha sindacati organizzati e potenti, numerose e vivaci organizzazioni della società civile e delle imprese, possiede un sistema giudiziario che funziona ragionevolmente, e ha promosso numerose riforme di notevole impatto sociale; inoltre ha mezzi d’informazione liberi che non esitano a denunciare storture, corruzioni e a dar voce alla protesta.

La sua lunga agonia è stata difesa dalla voracità di media impietosi dall’affetto della moglie Graça Machel, delle figlie, dei nipoti, pronipoti a cui negli ultimi anni aveva dedicato molto tempo per compensarli in parte della sua lunga assenza che molto lo aveva addolorato Scompare un grande politico, un essere umano dalle eccezionali qualità, dotato di immenso carisma messo al servizio della lotta per la libertà e la giustizia. Un uomo “larger than life” che ritirandosi dalla politica ne ha rispettato l’autonomia e nello stesso tempo non ha mai cessato di esortare i suoi successori a cercare di riconoscere per poi correggere i propri errori e ad agire con onestà, sincerità, semplicità, umiltà, generosità pura, assenza di vanità, desiderio di servire gli altri. E anche se il suo insegnamento e esempio appaiono oggi in larga parte inascoltati - e non solo in Sud Africa o in Africa e proprio da quei politici che con più clamore ne tessono le lodi o lo santificano - l’eredità di Mandela continuerà a vivere oltre la sua morte.

Anna Maria Gentili

5 dicembre 2013


Nelson Mandela. The struggle is my life.

A pictorial exposition. Produced and published by International Defence & Aid Fund for Southern Africa, 1978

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