Iraq

Argomento: Iraq

Nell'agosto del 1990 l'Iraq invade il Kuwait, che estraeva dai giacimenti situati sulla frontiera comune quantità di petrolio superiori al dovuto: il paese viene sottoposto all'embargo più stretto che sia mai stato messo in atto nella storia moderna.

Nella notte tra il 16 e 17 gennaio del 1991 l’allora presidente statunitense George Bush ordina l’inizio dei bombardamenti contro l’Iraq.

Il presidente Bush decide di arrestare l’azione della forza multinazionale, nel tentativo di evitare l’impantanamento delle forze militari americane in una guerra di lunga durata e l’accettazione della resa da parte di Saddam permette a quest’ultimo di rimanere a capo del paese.

Il programma "oil for food" ha inizio nel 1996 e prevede la vendita controllata di 2,2 milioni di barili di petrolio al giorno in cambio di cibo e medicinali, con lo scopo di alleviare le sofferenze dell’ormai stremata popolazione irachena.

Nel nord e nel sud del paese vengono istituite all’indomani della prima guerra del golfo, due "no fly zones", sotto il controllo congiunto anglo americano, nate con lo scopo di difendere parte delle popolazioni curde e sciite minacciate dalle rivalse di Saddam.
Queste zone negli anni 90 saranno teatro di alcuni bombardamenti contro postazioni dell’esercito iracheno, bombardamenti che raggiungeranno il loro culmine nel 1998, con l'operazione denominata "Desert Fox", decisa da USA e Gran Bretagna.

Nel 1997 un rapporto dell'Onu rivela che la fame e la mancanza di medicine dovute all'embargo hanno causato più di un milione di morti, di cui 570.000 bambini. Il fallimento delle sanzioni "intelligenti" (nozione introdotta dalla nuova amministrazione statunitense nel 2001) che miravano a non colpire più la popolazione irachena, ma solo il regime iracheno, viene sancito nel luglio del 2001 con la riduzione tecnica a cinque mesi del programma umanitario Oil for Food. Nel frattempo non sono mai cessati i bombardamenti nelle cosiddette "No fly zones". Durante questi attacchi sono stati colpiti anche obiettivi civili come depositi di cibo, raffinerie e impianti di depurazione delle acque, e uccise centinaia di persone.

All’indomani dell’11 settembre 2001, si inizia a parlare di un possibile intervento armato contro l’Iraq. Dopo la guerra in Afganistan, l’amministrazione nordamericana guidata da George W. Bush, decide di intervenire contro il governo di Saddam Hussein. Gli USA accusano il presidente iracheno di non aver ottemperato alle risoluzioni delle Nazioni Unite, nelle quali era previsto l’obbligo di distruzione delle armi chimico-batteriologiche dell'arsenale iracheno, e di essere inoltre impegnato nella costruzione di un arsenale di tipo nucleare. Nonostante manchino riscontri concreti che indichino responsabilità irachene negli attentati dell’undici settembre, l’amministrazione Bush sospetta di una possibile alleanza tattica tra il laico Saddam ed il fondamentalista Osama Bin Laden. Le armi di distruzione di massa, la cui paventata presenza in Iraq è stato il "casus belli" di questa seconda guerra del golfo, ad oggi non sono state ancora trovate. Gli USA conducono contro l’Iraq una coalizione in cui entreranno a far parte tutti quegli stati che appoggiano l’azione statunitense anche al di fuori del quadro ONU, tra le quali spicca la presenza della Gran Bretagna e, a conflitto terminato, dell’Italia e della Polonia. Il 20 marzo iniziano i bombardamenti dell'operazione denominata "Iraqi Freedom" dando inizio alla guerra. Nel giro di sole quattro settimane le forze della "coalizione dei willings", formate da americani ed inglesi, riescono ad avere la meglio sull’esercito iracheno ed entrano a Baghdad. Il 1 maggio 2003 il presidente Bush dichiara ufficialmente la fine delle operazioni di guerra. Ha cosi inizio il lungo periodo di transizione, il difficile "dopoguerra" che dura ancora oggi, in cui le forze dei paesi occupanti si trovano a dover affrontare le attività della guerriglia irachena, movimento alquanto eterogeneo e variegato. Le tensioni tra sciiti e sunniti, divisi da uno scisma di 1.400 anni fa, in Iraq sono più evidenti che in altri paesi musulmani. I due gruppi religiosi sono in lotta per il potere e in questa guerra gli attacchi alle moschee, frequentate solo dagli uni o dagli altri, sono il facile obiettivo dell'odio.

In Iraq, malgrado gli sciiti siano la maggioranza, il regime è sempre stato dominato dai sunniti. Se rappresentano la maggior parte della popolazione di Baghdad, gli sciiti abitano prevalentemente nel sud dell'Iraq, nella regione di Bassora, seconda città dell'Iraq e unico sbocco sul mare del Paese.

Nel 1991, alla fine della prima guerra del Golfo, gli sciiti si rivoltarono in massa sull'onda delle notizie della disfatta militare che venivano portate dai soldati di ritorno dal Kuwait occupato. I soldati di Saddam Hussein riconquistarono con la forza il sud ribelle e i tank iracheni aprirono il fuoco contro le moschee di Karbala e Najaf dove molti sciiti avevano trovato rifugio.

Più recentemente, una nuova ondata di repressione contro gli sciiti è iniziata nel 1998, raggiungendo particolare intensità nel 1999, quando l’ayatollah Mohammed Sadiq as Sadr, massimo esponente sciita iracheno, viene ucciso assieme ai due figli.

Ma "la rivalità tra sciiti e sunniti iracheni è un’invenzione", afferma Bashshir Musa Nafi’, iracheno, docente di storia contemporanea, intervistato da al Jazira nel 2004: "gli sciiti sono stati bersaglio di Saddam perché rappresentavano la minaccia più diretta alla sopravvivenza del regime. Ciò è dimostrato dal fatto che l’ex raìs di Baghdad, quando ha sentito minacciata la propria permanenza, non le ha risparmiate a nessuno: né ai curdi, né agli arabi, sunniti e sciiti che essi fossero.

La cattura di Saddam, avvenuta nel dicembre 2003, non porta ad un significativo abbassamento dell'intensità delle azioni delle varie forze ribelli operanti in Iraq, attive soprattutto nella zona centrale del paese. Dopo la caduta del regime di Saddam, viene instaurata un'amministrazione civile nordamericana. A questa amministrazione si affiancherà un provvisorio Consiglio Governativo Iracheno che dovrà guidare il paese verso libere elezioni. Sono numerosissimi gli attacchi e gli attentati che colpiscono i militari delle forze occupanti, il personale di enti internazionali e ONG presenti in Iraq e gli iracheni accusati di collaborazionismo dagli insorti ma a subire gli attacchi e le privazioni più ingenti è la popolazione civile. Intanto grosse compagnie statunitensi firmano considerevoli contratti per la ricostruzione materiale dell’Iraq. Nell’aprile 2004 si consolida l’insurrezione sciita in seguito alle esortazioni del capo religioso Moqtada Al Sadr. Alla fine di aprile il nuovo premier spagnolo José Luis Zapatero annuncia il ritiro delle truppe del suo paese dall’Iraq entro il 30 giugno, mentre scoppia lo scandalo delle fotografie che registrano torture e omicidi dei prigionieri iracheni detenuti dalle forze angloamericane. Una altro leader ribelle che compare in scena a maggio, è il terrorista giordano Abu Musab al Zarqawi, considerato una sorta di luogotenente di Osama Bin Laden in Iraq. Si pensa che al Zarqawi si nasconda a Falluja, città a maggioranza sunnita e una delle roccaforti dell'opposizione armata irachena. Alla fine giugno, come previsto, gli Stati Uniti riconsegnano, almeno formalmente, la sovranità' dell'Iraq agli iracheni. L'amministratore civile Bremer passa le consegne al premier ad interim Iyad Allawi che guiderà il Paese solo fino alle elezioni del 2005.

Nel gennaio 2005 si svolgono le elezioni: vincitori sono risultati gli Sciiti, riuniti nella lista "United Iraqi Alliance" (UIA) che ha ottenuto il 48% dei voti, ottenendo circa 140 sui 275 seggi disponibili all’Assemblea provvisoria.

Il paese continua ad essere scosso da una terrificante serie di attentati, ad esempio quello avvenuto in maggio a Tikrit, che ha visto decine di morti e feriti.

In ottobre 2005 inizia il processo contro Saddam, accusato di crimini contro l’umanità per l’uccisione di 148 sciiti a Dujial nel 1982 dopo un fallito attentato contro di lui e per la campagna "Anfal" durante la quale nel 1988 furono uccisi decine di migliaia di kurdi. Saddam si dichiara "non colpevole". Contesterà sempre la legalità della procedura, che dice guidata da "forze d’invasione".

In novembre il tribunale lo dichiara colpevole per crimini contro l’umanità e lo condanna a morte per impiccagione. Il 30 dicembre viene eseguita la condanna di morte.

Alla fine dello stesso anno il governo italiano ritira le proprie truppe dall’Iraq.

E’ del febbraio 2007 l’attentato più sanguinoso dal 2003, avvenuto in un quartiere a prevalenza sciita di Baghdad, con centinaia di morti e feriti; in una settimana mille persone sono morte in combattimenti, attacchi suicidi ecc.

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