AMILCAR CABRAL TEM DIMENSAO UNIVERSAL (1924-1973)
"Por mais bela e atraente que seja a realidade dos outros, só podemos transformar verdadeiramente a nossa própria realidade com base no seu conhecimento concreto e com os nossos esforços e sacrifícios próprios. (…) A deficiência ideológica para não dizer a falta total de ideologia, por parte dos movimentos de libertação nacional – que tem a sua justificação de base na ignorância – constitui uma das maiores senão a maior fraqueza da nossa luta contra o imperialismo”
Amilcar Cabral
L’Africa è stata l’ultima parte del mondo ad essere colonizzata e decolonizzata, a partire dagli anni ‘50 del Secondo dopoguerra. Il riconoscimento del diritto all’indipendenza delle ultime colonie sembrò significare allora il ripudio dell’ultima forma di dominio razzista. Questo affermavano tutti i leader africani, sia pure con formule diverse e tutti vedevano nell’emancipazione di ciascun stato-nazione il riconoscimento e il recupero della tanto a lungo violata dignità di uomini liberi, non più schiavi, né sudditi, ma cittadini a pieno titolo di paesi indipendenti. I leader dei movimenti nazionalisti che in quegli anni “conquistarono il regno della politica” , come recita la celebre frase di Kwame Nkrumah, per quanto diversi i percorsi e i tempi dei negoziati e delle lotte di liberazione, che condussero alla indipendenze, pur consapevoli dell’arretratezza e delle eredità di dipendenza dei loro paesi, speravano e chiedevano, così come stava accadendo nei paesi europei usciti dalla guerra, sconfitto il nazismo e il fascismo, che le loro popolazioni fossero partecipi di un cammino condiviso, di ricostruzione non solo fisica, ma soprattutto morale. L’età dell’oro era nel futuro, nella capacità di uomini e donne di inventare un mondo nuovo, giusto e solidale e che a aprirne il cammino potesse e dovesse essere l’emancipazione e il progresso dei popoli oppressi.
Per la mia generazione ciò che spinse a interessarsi, seguire e studiare e appoggiare le lotte per l’emancipazione delle popolazioni che si affrancavano dalle dominazioni coloniali, fu la forte empatia che sentivamo con l’impulso morale delle forme di soggettività individuale e collettiva che orientava l’azione pratica e simbolica dei loro leader politici e intellettuali.
In quegli anni, Amilcar Cabral, in Guinea Bissau e Cabo Verde, considerati territori senza importanza economica, e tuttavia avamposti strategici e militari dell’irriducibile potere coloniale portoghese, emerse come il leader rivoluzionario più abile e innovativo, dotato di immenso carisma, capace di sollecitare consenso interno e internazionale, e soprattutto di mobilitare le diverse comunità etniche, razziali e di classe, che rappresentavano un panorama sociale e politico variegato, spesso conflittuale, da guidare a una presa di coscienza che si presentasse unita in un’azione comune per la conquista della libertà. Amilcar Cabral apparteneva alla generazione dei giovani africani nati attorno agli anni 20 e formatisi negli anni 40 che cominciano a diventare protagonisti di politiche anticoloniali negli anni 60. Kwame Nkrumah, primo ministro poi presidente del Ghana, - il primo paese a conquistare l’indipendenza in Africa occidentale - divenne il mentore dei molti leader e partiti che hanno fatto la storia della decolonizzazione, irriducibile nel mettere in guardia contro i progetti neocoloniali di chi “partiva per meglio restare”. Di questa generazione ricordiamo personaggi anche molto diversi per origine, pensiero e azione politica: Patrice Lumumba, Sekou Touré, Modibo Keita, Julius Nyerere, Ben Bella, Leopold S. Senghor, Nelson Mandela e Oliver Tambo e per l’Africa dominio portoghese, Agostinho Neto, Eduardo Mondlane e appunto Amilcar Cabral. E il grande storico senegalese Cheik Anta Diop, di cui si deve rileggere Nations Nègres et Culture, a lungo osteggiato per le sue teorie e ricerche che rivalutavano l’originalità e la profondità della cultura “negra”.
E’ passato mezzo secolo da quando Amilcar Cabral venne assassinato a Conakry da uno dei suoi, il 20 gennaio 1973. La sua tragica morte ha esaltato la dimensione “universale” di un pensiero scevro di ogni dogmatismo, la sua capacità di organizzatore politico e di stratega nella conduzione della lotta di liberazione contro la dittatura portoghese, che nel dopoguerra, mentre buona parte dei paesi africani si avviavano all’indipendenza non lasciava il minimo spazio, o speranza, alle rivendicazioni di autonomia, emancipazione e indipendenza delle comunità e popolazioni autoctone, pesantemente condizionate da secoli di servaggio e subordinazione.
Nel secondo dopoguerra sembrava possibile eliminare le ultime vestigia della dominazione coloniale e con questa il razzismo, riconoscendo alle popolazioni africane il diritto alla libertà, e quindi alla dignità di essere umani come soggetti storici e politici, non più sudditi, ma cittadini a pieno titolo di Stati-nazione. Il nuovo assetto internazionale che emerge dalle macerie della Seconda guerra mondiale sembrava favorevole, e Amilcar Cabral in questo contesto si rivelò un abile e convincente diplomatico dimostrando di saper conquistare consenso a tutto campo, in Europa, Stati Uniti, Africa, Asia, alle Nazioni Unite e non ultimo in Vaticano. Il regime dittatoriale portoghese rifiutò ogni apertura: la sua e dei suoi compagni, perorazione, perché insieme si potesse costruire la pace nella dignità, in una patria libera e finalmente democratica fu affrontata con la più feroce repressione, il che costrinse Cabral e i suoi nel 1961 a percorrere la via dell’insurrezione. Vorrei qui ricordare che nel gennaio 1961, Patrice Lumumba primo ministro eletto della Repubblica Democratica del Congo, tradito dal capo di stato Maggiore Mobutu, venne catturato e infine trucidato. Nel suo discorso all’indipendenza dal regime coloniale belga Lumumba aveva rivendicato il diritto che fosse riconosciuta pari dignità nella libertà ai congolesi, quali cittadini di una società giusta ed egualitaria.
Amilcar Cabral ha molto scritto e su di lui, il suo pensiero e la sua azione molto è stato scritto. In Italia la sua figura diventò popolare grazie a numerosi articoli di giornalisti che ebbero allora la possibilità di frequentare l'Africa che si affacciava alla conquista delle indipendenze. Molti di noi, allora giovani, hanno conosciuto Amilcar Cabral dagli scritti di Romano Ledda e Pietro Petrucci, che seguivano sul campo gli eventi, sorretti da una documentata conoscenza delle dinamiche locali nel contesto in trasformazione delle politiche europee e internazionali.
Amilcar Cabral, conosceva in profondità non solo le altre colonie portoghesi, Angola e Mozambico, i cui leader erano e restarono fino alla sua morte interlocutori privilegiati, ma era in costante colloquio con i dibattiti che resero tanto fecondi di idee e speranze gli anni a cavallo degli anni ‘60 di quello che allora si chiamava “terzo mondo”, in Asia, Medio Oriente, America Latina. Utopista certo, ma coi piedi per terra, sceglie di studiare agraria e da ingegnere agronomo percorre la Guinea Bissau, scopre la complessità storica e politica delle diverse entità etniche e di interessi; promuove durante la lotta di liberazione l’ascolto delle forme e espressioni culturali, della storia che caratterizza il complesso e mutante panorama sociale e politico, e questo insegnerà ai giovani e spesso impazienti suoi compagni con l’organizzazione del partito PAIGC che intende come fulcro e laboratorio dell’integrazione delle diversità. Durante il suo percorso di combattente e politico non cesserà mai di insistere e operare per l’unità della nazione, da costruire sul primato del rispetto e la solidarietà delle e fra le pur diverse culture materiali e spirituali del paese.
Amilcar Cabral ci ha suggerito metodi e strumenti di analisi della società africane e non solo. Nel mezzo secolo che è trascorso dalla sua morte gli enormi mutamenti economici, sociali e politici testimoniano accanto a progressi più spesso il riprodursi in forme sempre nuove di esclusione e di risorgente razzismo, conflitti e sfruttamento dei più deboli, il che rende più che mai imperativo “ritornare alle fonti” della propria storia, con uno sguardo critico e non trovando rifugio nell’adozione di teorie e modelli dogmatici o del tutto stranieri alle culture locali, ma con conoscenza di causa, criticamente navigando le complessità con flessibilità, tuttavia senza mai cedere sui principi, gli stessi che hanno ispirato la lotta per la conquista e il rispetto dei diritti umani fondamentali, senza distinzione di razza e etnia o classe sociale.
Cabral in ogni occasione promuoverà lo studio della storia . Solo la storia ci permette di dare corpo e valore alla profondità del tempo e all’articolazione dello spazio nell’azione delle società africane e all’essenza delle forme di protesta, all’interno delle quali le entità politiche e sociali, pur limitate nella loro azione si incontrano, scontrano e negoziano vie di riscatto e di difesa e affermazione della propria identità. Interagendo, integrandosi in contesti locali, regionali e internazionali in costante accelerato mutamento.
Per tutti noi fra le tante lezioni che abbiamo appreso da Amilcar Cabral è valorizzare la ricchezza e la profondità storica temporale e spaziale dell’Africa in tutte le sue componenti che va ben al di là dei confini continentali e del breve periodo del colonialismo formale e dei primi 60 anni di indipendenze.
Anna Maria Gentili
Professoressa Emerita Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Membro del Comitato scientifico del Centro/Biblioteca Amilcar Cabral di Bologna
Il Centro/Biblioteca Amilcar Cabral nasce nel 1974 per volontà del Comune di Bologna con lo scopo di sviluppare la conoscenza dei problemi internazionali e in particolare della vita politica sociale economica e culturale dei paesi dell’Asia dell'Africa e dell’America Latina.
Attualmente la Biblioteca Amilcar Cabral fa parte del Settore Biblioteche e Welfare culturale del Comune di Bologna; ha un patrimonio specializzato su Asia, Africa e America Latina di oltre 45.000 volumi e 400 periodici. Documenta, favorisce e promuove lo studio, l’informazione e la conoscenza dei problemi internazionali, con particolare riguardo alle culture extraeuropee e alla storia, alla vita politica, economica e sociale, alla letteratura, alla cultura e alle religioni dei paesi di Asia, Africa e America Latina. È impegnata a promuovere la conoscenza e lo scambio tra culture diverse e, attraverso le sue raccolte, intende fornire una rappresentazione qualificata della produzione scientifica ed editoriale corrente, nazionale e internazionale, in questo settore di specializzazione. Organizza incontri, seminari, presentazioni di libri, gruppi di lettura, percorsi bibliografici e mostre.
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